
La riabilitazione di Craxi e il nodo del socialismo post-Tangentopoli
Negli ultimi anni c’è stata una riabilitazione della figura dell’ex presidente del Consiglio del Partito Socialista Bettino Craxi che governò nella metà degli anni Ottanta con il cosiddetto pentapartito, con forze come i liberali, i repubblicani e la Democrazia Cristiana, mettendo in un lato il Partito Comunista di Berlinguer negli anni che seguirono il compromesso storico e i tentativi di solidarietà nazionale per far entrare al governo, da parte della DC di Moro e Andreotti, anche il Partito Comunista Italiano. Molti si chiedono se il riordino e il riattivarsi di frange socialiste e la ricostituzione del Partito Socialista negli anni Novanta e Duemila, dopo la diaspora socialista conseguita al maxiprocesso Tangentopoli, avesse l’appoggio di Craxi. La risposta va cercata lontano nel tempo, innanzitutto va detto che Craxi rispetto a questa fase degli anni Novanta cosiddetta “liberaldemocratica”, che vide prima di spegnersi ad Hammamet, guidata da Giuliano Amato che cercò alleanza con il nuovo PDS, insomma c’è da chiedersi se questa fase nuova del Partito Socialista post diaspora fosse accettata da Craxi e ben vista da lui.
La formazione del pensiero craxiano e l’abbandono del marxismo
Il presidente Craxi ebbe due fasi del suo agire politico. La fase della formazione del pensiero che lo vide approcciarsi ad un socialismo ancora pro-marxista, quello di Nenni durante gli anni universitari, dove incontrerà il suo amico intimo Claudio Martelli negli anni Settanta, e che vide l’affacciarsi di movimenti sociali innovativi, dalla socialdemocrazia svedese fino alla Primavera di Praga. È in questi anni che si forma il pensiero che unisce liberalismo e socialismo di Craxi, e che porta al cambiamento del simbolo della falce e martello dal logo del Partito Socialista Italiano, e quindi l’abbandono del marxismo per una politica europea e socialdemocratica. Negli anni di governo la rinuncia al marxismo lo porterà sempre più ad avvicinarsi in modo autonomista alla Democrazia Cristiana e al Partito Repubblicano per governare, mettendo a frutto in quella prima fase della globalizzazione, cioè gli anni Ottanta, un governo che fece delle riforme che per l’epoca in Italia si potevano considerare thatcheriane e reaganiane come l’abbandono della scala mobile. Tuttavia questa riforma che incentivò la produttività e la riduzione dell’inflazione furono preconizzate non da Craxi, ma dal ministro dell’economia Gianni De Michelis, che fu la mente delle riforme più liberistiche del Partito Socialista di Craxi.
Il PSI tra pragmatismo industriale e critica al liberismo
Infatti De Michelis veniva da una cultura aziendale che si approcciava alle fabbriche di Marghera, essendo lui veneziano, e poi possedendo una cattedra di chimica all’Università di Venezia, insomma era l’anima più pragmatica e industrialista del PSI. Partito il PSI che seppur rigettava ormai le espropriazioni industriali dell’estrema sinistra e anche le nazionalizzazioni del Partito Comunista, tuttavia non andava d’accordo nemmeno con quei politici che immettevano nella loro azione parlamentare o di importanti istituzioni elementi fortemente pro-mercato, dalla politica dei redditi di Ugo La Malfa avversata da Craxi fino ai modelli industriali scaturiti da menti come quelle di Guido Carli o Beniamino Andreatta per la riduzione del debito pubblico e l’austerity. Craxi anzi in un viaggio in Cile difese quell’alleanza tra Salvador Allende del Partito Socialista cileno e il Partito Comunista cileno, e tuonò contro i falchi americani neoconservatori o gli economisti pro-austerity fossero quelli provenienti dalla scuola di Chicago o coloro come Carli, La Malfa, Andreatta, che cercavano di collegarsi con il Partito Comunista e la sua anima più aziendalista (Napolitano e Amendola) e la Fondazione Agnelli per una riforma liberistica della società italiana riducendo di molto il ruolo dello Stato. Quella riforma liberistica che dopo venne propugnata in segreto anche dalla loggia massonica P2, che era anch’essa collegata a gruppi come la Rizzoli e la FIAT e le banche, da quella Commerciale (Mediobanca) fino al caso Sindona e Calvi.
Democrazia, pluralismo e teoria del merito e dei bisogni
Tuttavia pur se sul debito il Partito Socialista era pro spesa e pro redistribuzione esso non mirò mai nemmeno ad una austerity come quella propugnata nei tardi anni Ottanta da Enrico Berlinguer ormai passato il PCI in campo europeo con l’eurocomunismo e abbandonato il modello sovietico. Tuttavia questo PCI continuava in modo subconscio ad ammirare modelli asiatici o terzomondisti che non erano forieri di crescita economica. Un altro passaggio importante è quello nel campo della democrazia, delle istituzioni e della riforma di esse, e della giustizia. Il Partito Socialista non poteva andare d’accordo con quello comunista perché propugnava il pluralismo innanzitutto, in secondo luogo propugnava che la democrazia sia industriale che economica o legale permette lo sbaglio. La società occidentale liberale e democratica permette di sbagliare e di fallire, cosa che il Partito Comunista ancora non accettava. Nacque in questa fase la teoria “del merito e dei bisogni”, premiare il merito e quindi far crescere di ricchezza e autorevolezza i cittadini che avevano un merito ma allo stesso tempo pur permettendo lo sbaglio, a differenza del liberismo americano, tutelare i bisogni di chi aveva sbagliato o per colpa sua o meno fosse rimasto indietro nella corsa sociale. Certo gli anni Ottanta ebbero elementi di arrivismo e di disgregazione e degrado (si veda la cosiddetta Milano da Bere e gli yuppies), ma il governo Craxi pur permettendo questa nuova fase anche opulenta, consumistica e degradante in molti aspetti, finalizzava la sua ottica politica verso un socialismo che doveva portare tutti verso l’alto nella soddisfazione dei bisogni sociali, economici e spirituali e non rinunciando o come in un’ottica pauperistica derivata dalle religioni reprimendosi.
L’esilio di Hammamet e la svolta anti-globalizzazione
La seconda fase del pensiero craxiano la abbiamo ormai durante l’esilio ad Hammamet in Tunisia, dove passa il tempo dipingendo e cercando di riscattare il suo partito e la sua storia e sperando fino alla fine di essere riabilitato e tornare in Italia. Una fase molto dolorosa che ispira compassione, durante la quale il leader socialista osserva da un avamposto lontano dall’Occidente e dall’Europa la politica sulla quale non può più influire più di tanto, e dove si affacciano nuovi problemi sui quali dà dei giudizi. È una fase quella dell’esilio nella quale Craxi si interesserà molto di politica estera e della vicenda giudiziaria che ha coinvolto i partiti politici della Prima Repubblica, con le visite di un politico che ritiene un amico fidato come Francesco Cossiga ormai ex Presidente della Repubblica Italiana. È in questo esilio che si affaccia una visione sempre più sociale e socialista dove si rimettono in gioco temi come l’uguaglianza e il sociale, davanti alle politiche finanziarie ormai accettate in Italia da governi di centrosinistra dal 1992 al 1996 da Amato, Ciampi, Prodi, Maccanico, Dini. Sono questi i nomi di politici e banchieri tra cui Mario Draghi che dal 1992 al 2000 fanno le riforme e le privatizzazioni per portare l’Italia ad aderire al progetto europeo e per ridurre l’enorme debito pubblico. Ecco che in questa fase di restrizioni economiche, austerity e crisi Craxi unisce nei suoi articoli e libri usciti poi postumi elementi come il socialismo arabo o nordafricano del colonnello Gheddafi, elementi patriottici di socialismo patriottico davanti ad una globalizzazione che tutto uniforma e distrugge anche i vecchi modelli non solo economici con l’assistenza e “assistenzialismo” ai più deboli ma anche etici e morali. Mentre si profilano le ombre di nuove guerre che passano dai Paesi slavi della ex Jugoslavia fino ad una finta liberalizzazione democratica in URSS con una perestrojka abortita sul nascere dai poteri forti dell’ex PCUS e dagli oligarchi, fino a preconizzare la mano americana nel destabilizzare il Medio Oriente, in questo essendo la visuale di Craxi lì nel Mediterraneo avanzato quasi profetica, e quindi dicendo che anche l’avventura americana di Bush padre in Iraq nel 1991 era sbagliata e da non seguire, come anche la guerra e l’intervento NATO in Kosovo, quindi nella politica estera discostandosi anche dal liberalismo di Berlusconi che nel 1994 era pro-americano e pro-globalizzazione. Per quanto riguarda la situazione interna all’Italia penso che Craxi non avesse mai appoggiato il nuovo corso del Partito Socialista, la sua fase cosiddetta Lib Dem guidata da Giuliano Amato e confluita in un’alleanza con i governi Prodi e le riforme messe in atto anche da Ciampi e Dini. Si può fare un po’ i conti e capire che quel socialismo laburista non apparteneva all’armamentario del Partito Socialista, come non gli sarebbe appartenuto nemmeno il renzismo o ancora prima l’alleanza con i radicali nella Rosa nel Pugno di Boselli e Pannella. Prima di tutto Craxi era ancora per una visione di rispetto verso il cristianesimo sui valori della vita e della famiglia, pur accettando tutte le diversità; il Partito Socialista non era il Partito Radicale con le sue battaglie sessuali e di liberazione anche transumana dalle cellule staminali alla fecondazione eterologa. C’è stato un periodo in cui un Partito Socialista in una fase in cui questi temi erano all’ordine del giorno anche per la pressione di movimenti teocentrici e cristianisti negli USA, lo SDI e la Rosa nel Pugno fecero di questi temi il pane quotidiano. Ma sicuramente come abbiamo appurato pur essendo Craxi un precursore della globalizzazione rigettò comunque quella globalizzazione condotta da poteri finanziari e guidata dagli Stati Uniti dagli anni Novanta in poi, ma forse inconsciamente facendocene rendere conto a posteriori condannò quella globalizzazione e l’arroganza nordamericana già nell’episodio famoso di Sigonella. Certamente non in chiave anti-americana come i “vietcong”, ma nel senso di un mondo dove dovevano conservarsi le sovranità nazionali di fronte al potere della finanza e degli imperialismi. Secondo me sarebbe stato filo-ucraino di fronte all’occupazione nel 2022 dell’Ucraina da parte della Russia, come sarebbe stato anti-trumpiano oggi che è chiara l’unità di intenti tra Trump e Putin, anche se il mondo è tornato in preda di imperi nazionali e non si è realizzata la tanto vituperata pace sovranazionale del Nuovo Ordine Mondiale, che era il sogno di liberali e postcomunisti dopo Tangentopoli. Sicuramente la fase “neo-socialista” e anti-globalizzazione del leader socialista non fu maturata solo ad Hammamet, ma bensì prima, nei pochi anni di governo che gli restarono prima degli attacchi giudiziari. Già nel 1989 si parlava molto nei congressi socialisti di Mediterraneo avanzato, fino al cercare da parte di Bettino Craxi nuovi partner per governare dopo la caduta del Muro di Berlino, e quindi la scelta di far entrare il PDS nell’Internazionale Socialista. Insomma Craxi progettava un governo delle sinistre unite, un governo tra socialisti e comunisti senza forze conservatrici come la Democrazia Cristiana. Poi per forza di cose questo non si verificò, ed è da qualche anno che si gettano luci sinistre su quel periodo torbido che iniziò nell’estate del 1992 e che forse fu anch’esso teleguidato da forze sovversive oltreoceano (Stati Uniti).
EDOARDO BUSO