Italia tra giustizia, debito e demanifatturializzazione: una crisi di equilibrio politico ed economico
Nei prossimi mesi la politica, oltre alle regionali in Veneto, dovrà occuparsi di questioni come la riforma della giustizia, perché ci sarà un referendum per confermarla, e già adesso vari opinion maker, a tutti i livelli, stanno facendo campagna per il sì o per il no.
Si nota soprattutto la posizione dell’ex magistrato dell’operazione “Mani Pulite”, Antonio Di Pietro, che oggigiorno sul tema della giustizia è favorevole alla separazione delle carriere, quindi in sintonia con tutto il campo riformista, l’ex Partito Socialista compreso, e il centrodestra. Una posizione coraggiosa rispetto alla posizione dell’ANM e dei giornali come Il Fatto Quotidiano, appiattiti sulla posizione del no.
Ma non solo la giustizia è al centro del periscopio di questo articolo che scrivo. C’è la manovra, con il ministro Giorgetti che mette la faccia su un’IRPEF che detassa maggiormente i ricchi più che i poveri.
Ma per capire appieno la manovra e non dire del tutto bene o del tutto male su essa, bisogna capire la situazione dell’Italia e dell’Europa. Negli ultimi anni, infatti, i debiti pubblici, non solo in Italia che è un faro di stabilità tuttavia, ebbene, i debiti pubblici sono cresciuti soprattutto in Germania e Francia.
Bisogna tornare al 2010, quando cadde il governo Berlusconi e aumentò lo spread. Allora il debito pubblico italiano era fuori controllo. Il problema dei problemi, cioè il rapporto deficit/PIL, è legato soprattutto alla perdita della sovranità monetaria negli anni della nascita dell’euro e della Banca Centrale Europea.
Allora, come tutti sappiamo, per coprire il debito non si poteva più stampare moneta come si faceva negli anni di Andreotti o Craxi. L’unica cosa da fare era far comprare titoli obbligazionari dell’Italia alla Banca Centrale Europea, garantendoli quindi davanti al differenziale delle altre nazioni (ovvero lo spread): per garantire questi titoli di debito e non far sforare il rapporto deficit/PIL, si devono tenere in ordine le finanze, i conti pubblici e le spese.
Adesso, come adesso, con il governo Meloni le finanze sono sorvegliate; si è tagliata però una parte consistente della spesa sociale che, assommata ai tagli precedenti, cioè degli esecutivi che hanno visto la crisi dal 2010 in poi, ha creato un vasto depauperamento e una macelleria sociale.
Ecco che le opposizioni giustamente insorgono, ma non sappiamo se, andando al governo, Elly Schlein o i Cinque Stelle possano riuscire a tenere i conti in ordine e non redistribuire il reddito come promettono in campagna elettorale. Tutt’al più il problema vero, anche per il governo Meloni, è che i conti sono abbastanza tenuti a bada da Giorgetti; si è tagliata la spesa e i bonus che hanno contraddistinto il periodo della pandemia dei governi Conte e Draghi, ma la produttività è al palo.
Se non vendiamo prodotti all’estero e non riceviamo dei soldi per coprire il debito (è questo il rapporto deficit/PIL, cioè vendere per ricevere dei soldi, o meglio esportare), non si potrà andare avanti così in eterno, senza alzare almeno un po’ le tasse ai più ricchi, tenendo conto tuttavia che non bisogna scoraggiare le attività dei ricchi che producono.
Oggi si stanno manifestando in tutta l’Eurozona due fenomeni. Il primo è che, nei paesi dove cresce il PIL – ovvero quel poco di PIL – esso cresce nei servizi, e quindi è un PIL, o meglio una ricchezza, che non deriva da merci che vendiamo all’estero.
Il secondo fenomeno è legato al fatto che, più si espandono i servizi, più il manifatturiero diviene un settore dove è difficile e non profittevole investire. A questo si unisce il fenomeno della “demanifatturializzazione” delle società avanzate, dovuto ai processi di automazione e alla riduzione degli addetti operai grazie alle nuove tecnologie e all’intelligenza artificiale.
Naturalmente, vedendo di buon occhio l’intelligenza artificiale, è più facile che un grande magnate investa, invece che nel produrre oggetti, in servizi da gestire con la tecnologia: dai servizi alla persona fino a quelli legati al tempo libero, alle spedizioni come Amazon.
In più, i vecchi industriali della manifattura, visti i costi di produzione troppo alti, preferiscono tenere i soldi nei paradisi fiscali. Un circolo vizioso che nessun governo, anche il più utopistico, ha facilità a rompere.
In più, rispetto agli anni Ottanta – gli anni di “Milano da bere” – è più difficile creare un appalto, perché i tempi per un appalto, per opere o cantieri, sono molto più lunghi e complessi. Insomma, da un lato ci sono molte più regole, ma dall’altro è rimasta invariata la condizione, spesso tragica, per chi lavora, visto che aumentano gli infortuni e le morti sul lavoro.
È come se, per colpa dell’informatizzazione che irrompe sempre più nelle nostre vite, si fosse perso il contatto con il lavoro. Per esempio, nella regione Veneto, che si appresta a una competizione elettorale ed è una delle regioni traino della piccola e media industria italiana, si verifica anche qui il fenomeno dell’immigrazione verso altre regioni del nord o verso altri stati europei.
Se in Veneto e Lombardia, ma in tutto il nord, l’industria arranca, nel centro e nel meridione l’industria è un sogno, o un incubo del passato. Stiamo crescendo una nuova generazione di giovani che sono sempre più esposti agli infortuni sul lavoro – quel poco che rimane – perché non hanno una cultura manuale legata allo sviluppo industriale che, per esempio, i baby boomer hanno visto svilupparsi e la generazione dei Millennials ha visto decrescere e sparire. Ecco che la generazione attuale è completamente dematerializzata.
Naturalmente va detto che, su queste questioni, la politica non può fare tutto e subito, ma gradualmente. In più, la situazione internazionale è quella che è. La Cina, che era la fabbrica del mondo, è anch’essa alle prese con i propri debiti molto alti. Il paese che cresce più di tutti sono gli USA, grazie in particolare all’indipendenza energetica che ha raggiunto e allo shale gas.
In Ohio è facile mettere su impresa: in due settimane si può aprire un’attività con soli duecento dollari, e l’Ohio registra lo sfornare 30.000 laureati l’anno in materie STEM, che comprendono ingegneria, biotecnologie e matematica.
In più, la Federal Reserve e il suo presidente attuale, Jerome Powell, hanno in autonomia scelto di abbassare i tassi di interesse, cosa che ci auguriamo faccia anche la presidente attuale della BCE, Christine Lagarde, per venire incontro alle finanze pubbliche e alleggerire la situazione, dopo che Meloni e il governo hanno agito soprattutto sul lato del mantenimento di conti pubblici stabili.
Ma si sa che aggiungere austerità ad altra austerità passata può creare solo la miscela per un’esplosione di rabbia sociale, e la rabbia sociale non aiuta le riforme necessarie.
EDOARDO BUSO