
Il campo largo c’è. Lo si è visto a Genova e in altri comuni, dove i riformisti hanno dato un contributo notevole a vincere sulle formazioni di destra. Ha ragione Matteo Renzi che, dopo la vittoria di Genova, ha dato una stoccata a Giuseppe Conte ricordandogli che la perdita della regione Liguria è stata resa possibile mesi fa proprio dalla testardaggine del Movimento Cinque Stelle e dalla mancanza del campo largo.
Ma ci dobbiamo domandare se questo campo largo è ad alta o bassa tenuta. Silvia Salis, la neosindaca della città ligure, ha chiesto forte unità alle forze che la sostengono. Tuttavia, si dovrà vedere la tenuta del campo largo anche sul piano nazionale: se, come presidente del consiglio, vincerà il centrosinistra, avremo un tecnico capace o un governo Conte terzo?
Io proporrei fin da subito un buon ministro dell’economia che si basi su principi anche un po’ keynesiani, come potrebbe essere Giorgio La Malfa o Paolo Guerrieri, due figure che seguo molto e sono molto capaci. Mi piacerebbe vedere Elly Schlein ottenere più voti di Giuseppe Conte perché la ritengo più sensibile e più moderna nella sua proposta politica, insieme al campo riformista.
Ed è qui che si apre il primo scenario che descrivo sul voto referendario di giugno, ovvero il problema di una Cgil che non abbiamo ancora capito se è filopolitica, filoparlamentare, se è partner del Partito Democratico o se già tanto tempo fa ha divorziato da esso e quindi sonda un po’ più la strada del movimentismo e dell’agitazione.
Nulla da eccepire, almeno per quanto mi riguarda, sui quesiti che ritengo votabili e giusti, in quanto bisognerà superare – sindacato o meno – la precarizzazione del lavoro, la sua insicurezza e quindi anche superare una legge come il Jobs Act che è troppo acqua di rose. Però non bisogna irrigidire troppo il mercato del lavoro. Faccio notare che i quesiti referendari sono sacrosanti e non vanno nella direzione dell’irrigidimento di chicchessia.
Però la vittoria di questi quesiti può fare il gioco di forze più a sinistra del PD e dei riformisti, con un’alleanza tra sindacato e movimenti di sinistra extra/intraparlamentare, movimentista, che avrebbe un titolo in più per le sue battaglie a danno del riformismo e dei moderati.
È per questi motivi che, nel primo scenario descritto, il compito dei riformisti socialisti, liberali e moderati dovrebbe essere quello non di affossare i quesiti sul lavoro e non votarli – come chiesto, sbagliando, da Renzi – ma bensì quello di accertarsi se nel campo largo ci sarà una linea programmatica a favore di temi come il mercato libero, le riforme economiche, il rispetto verso le istituzioni monetarie, le liberalizzazioni ecc., ma anche il tema della riforma carceraria e della giustizia.
Nel secondo scenario mi pongo il problema della votazione dell’ultimo quesito, quello della cittadinanza. E mi chiedo se non c’è qualche inghippo nascosto. Non dovrebbero essercene, perché è anche in questo campo sacrosanto premiare, riducendo i tempi di ottenimento della cittadinanza, tutti quei cittadini che lavorano per noi italiani, pagando pian piano le pensioni soprattutto dei più deboli, come quelle sociali.
Allo stesso tempo ritengo che un argomento di questo genere, concernente la cittadinanza, doveva essere risolto in seno al Parlamento, sempre che avessimo un governo capace di essere un po’ più umano, moderno e trasversale e non rincorrere un falso populismo dannoso.
Tuttavia, la legge che scaturirà da questo quesito, se verrà approvato, non dovrà essere un “tutti sul treno della cittadinanza”, ma dovranno esserci delle regole ben chiare, che sono quelle attuali e che i propositori del referendum assicurano verranno tenute valide, anche se ci fosse la diminuzione da dieci anni a cinque anni per diventare italiani.
Ma però quante leggi sono state non rispettate in Italia? E sono razionali le paure delle opposizioni (mentre anche il Movimento Cinque Stelle è restio, per alcuni motivi, su questo ultimo punto referendario)? Il timore di una nuova ondata migratoria e della possibilità di attribuire la cittadinanza a tutti. Se questo pare paradossale e propagandistico almeno a prima vista, naturalmente serviranno patti chiari sulla predominanza di religioni e culti, che già adesso sono sotto sorveglianza causa integralismo in tutto l’Occidente.
E quindi il timore che più cittadini di questi culti religiosi – che sono da accettare ma, in alcuni aspetti, necessitano di una riforma – diventino ancora più predominanti in Italia e in Europa. La terza paura è quella legata alla maggiore concorrenza nei concorsi pubblici sui giovani italiani.
Ma dobbiamo dire che, a parte la paura dei culti integralisti, votare questo punto vale la candela, proprio per i commisurati benefici economici empiricamente accertati per tutta la nazione.
Il terzo scenario, insieme alle paure o fobie che non devono sopravanzare una lettura certamente critica ma anche seria della questione, è quello della vincita dell’astensione. Potrebbe favorire scenari negativi nel breve periodo, come il sopravanzare della destra di Meloni e Salvini, che riesce a sopraffare anche il centrodestra moderato conservatore e quindi una maggiore radicalizzazione di politiche di repressione penale, o politiche scriteriate sul tema ambientale (dalla riforma della caccia) fino a politiche pro-lobby (sulle licenze) o un arretramento della produzione industriale, ecc.
A questo scenario si aggiunge la mancata approvazione della riforma della cittadinanza e quindi il minore gettito fiscale nel lungo periodo per sostenere i giovani di oggi che andranno in pensione domani.
Insomma, il referendum – come ho ricordato già in uno scorso articolo – mette molta carne sul fuoco. E purtroppo è sbagliato lasciare tutti questi temi aperti, in un breve, affannoso e ansiogeno arco di tempo, solo nelle mani dei cittadini votanti, senza che ci sia almeno una maggioranza nel mondo dell’informazione e accademico, nonché una maggioranza parlamentare che assicuri ai cittadini, come avverrebbe in altre nazioni occidentali più evolute, dei benefici del voto confermativo dei quesiti.
Invece, il sistema paese è ancora troppo diviso. Solo se i partiti del centro moderato – compresa Forza Italia – convergessero su alcuni temi, come accadde nel referendum della riforma costituzionale lanciato dal governo Renzi, dove D’Alema e Berlusconi erano insieme a sostenere il no alla riforma, ci potrebbe essere una chance che questi quesiti si trasformassero in qualcosa di veramente storico e serio.
E lancio quindi questa suggestione soprattutto a Tajani, ma anche ai riformisti da Renzi e Calenda, che dovrebbero essere – come lo è stato il Partito Socialista e Più Europa – chiari e decisi sulla votazione e approvazione di tutti i quesiti.
Sperando che, se dovesse vincere l’astensione, comunque lo stesso il governo, con le opposizioni e con i sindacati, si ponga a legiferare su questi temi, non lasciandoli completamente nell’oblio.
Per quanto mi riguarda, per questi temi di riforma vedrei molto bene – ed è questa la mia idea – una commissione bicamerale come quella del 1998 tra Ulivo e Polo delle Libertà. Forse, in questo 2025, con lo scenario politico attuale, è chiedere un po’ troppo.
EDOARDO BUSO