Va bene spostare risorse e personale da settori in fallimento o in esubero a settori più produttivi: questa avrebbe dovuto essere anche una politica adottata dai governi italiani. Ma quello che sta accadendo negli Stati Uniti, con il licenziamento di massa di milioni di lavoratori del pubblico impiego e di agenzie governative, è ben diverso da una semplice riqualificazione per rendere più produttivo il paese e ridurre i costi di certi settori.

Milioni di impiegati statali sono stati pugnalati alla schiena dalla nuova amministrazione Trump-Vance-Musk. Il padrino ideologico di questa operazione è sicuramente Elon Musk, l’imprenditore miliardario proprietario del social X e dell’azienda automobilistica Tesla. Il problema non è il conflitto di interessi, poiché un buon imprenditore può anche essere un buon politico o almeno provarci. Nemmeno si può ridurre tutto alla questione degli aiuti pubblici ricevuti da Tesla, dato che molte altre industrie, come quella farmaceutica o agricola, hanno ricevuto finanziamenti statali ben superiori a quelli di Musk.

L’accusa degli aiuti pubblici serve a dipingere Musk, sicuramente geniale come imprenditore e innovatore, come una persona mediocre. Tuttavia, il punto è un altro: anche una persona geniale può agire in malafede o comunque in modo dannoso per alcune categorie, magari persino in buona fede, ma percorrendo strade pericolose per la tenuta sociale del paese. Giudicate voi se Musk sia in buona o cattiva fede, se sia un genio o no. Il sistema mediatico non tollera deviazioni dal mito della meritocrazia imperante, in cui solo coloro che emergono economicamente sono degni di fiducia e di arricchirsi.

Lo stesso discorso vale per le democrazie comunitaristiche e sovraniste, come quella italiana da quando si è insediata Giorgia Meloni. Anche in Italia si segue il dogma di una meritocrazia distorta (così come avviene con Milei in Argentina), dove ogni giorno in televisione vengono presentati esempi di persone virtuose in tutti i campi, non solo economico, secondo una filosofia intrisa anche di cattolicesimo. Nel frattempo, però, lo stato assistenziale viene smantellato, con tagli alla sanità e al sociale.

I rischi sono due: da un lato, le forze antigovernative di sinistra estrema tendono a voler conservare il sistema sociale senza nessuna riforma, né italiana né europea. In realtà, molto si potrebbe fare per rendere più produttivo il settore pubblico, e molto è stato già fatto anche da governi di centrosinistra, come quelli di Monti, Letta e Renzi. Dall’altro lato, l’attuale centrodestra manca di una cultura liberale forte, come quella che era di Berlusconi. Questo porta a non percepire il clima negativo creato dalla presidente Meloni, che non ha aggiornato i suoi programmi e si fa portabandiera di un conservatorismo psicologico incapace di cogliere i cambiamenti in atto nelle società occidentali: dalla robotizzazione e automazione dei processi produttivi alla necessità di ridurre lo Stato in senso liberale (small government), senza però lasciare indietro nessuno, come invece sta accadendo negli Stati Uniti.

Una possibile soluzione potrebbe essere una riforma istituzionale che riguardi i costi della politica e del Parlamento, oltre alla garanzia di un reddito di base universale o di cittadinanza. Questo permetterebbe di tutelare non solo i lavoratori impiegati nello Stato o nel settore privato, ma anche i consumatori e le persone non occupate. Se invece la politica continuerà a pensare di fare assistenza assumendo personale in settori in esubero, il rischio sarà quello di danneggiare l’intera comunità.

Queste argomentazioni ci riportano al 2010, dopo la crisi dei derivati del 2008, che negli anni successivi portò all’aumento dello spread e a un rapido cambio di governo in Italia. In quel frangente, milioni di dipendenti pubblici erano davvero a rischio, ma Silvio Berlusconi, pur essendo di estrazione liberale, si rifiutò di licenziare impiegati pubblici, nonostante le pressioni di organismi bancari, finanziari e di nazioni europee un tempo amiche. Anzi, resistette e si assicurò che nessuno perdesse il lavoro. Un comportamento ben diverso da quello di Trump e Musk. Tanto che persino Steve Bannon, ex stratega di Trump, ha dichiarato che Musk è una persona pericolosa. Nell’attuale governo Trump, poi, mancano figure di alto livello presenti nel 2016, come il celebre chirurgo Ben Carson.

Per concludere, un piccolo focus sull’ex presidente della BCE, Mario Draghi, anch’egli di cultura liberale. Grazie al quantitative easing, riuscì in anni turbolenti per l’economia italiana a dare ossigeno alle nostre finanze e a evitare l’esplosione del debito pubblico. Anche nella gestione della crisi pandemica, Draghi si è distinto come un leader che ha cercato di salvare il salvabile, senza pugnalare nessuno alla schiena, a differenza di Musk.

Musk, forse affascinato dagli oligarchi russi di Putin, mi ricorda molto il cattivo del film Bersaglio mobile di James Bond, interpretato da Roger Moore. Il nemico di Bond in quell’occasione era un oligarca sovietico, superdopato e allevato con ormoni in una sorta di laboratorio, una sorta di superuomo. Era il 1985, Craxi era da poco al governo e l’Occidente si commuoveva fino alla fine, quando partiva la colonna sonora A View to a Kill dei Duran Duran, vedendo trionfare la democrazia contro il magnate pazzo Max Zorin, deciso a conquistare il mondo. Ecco, Musk assomiglia molto a quel geniaccio malvagio.

EDOARDO BUSO