Parlo con un signore anziano mentre aspettiamo una visita in ospedale. Tocchiamo il tema della guerra, e lui mi dice, con convinzione: “Lo sa chi poteva fermare questa guerra tra Russia e Ucraina? Solo un uomo: Silvio Berlusconi.”

L’affermazione mi colpisce. Forse esagera, ma c’è un fondo di verità nel pensiero che Berlusconi, con il suo rapporto personale con Putin e la sua visione da “imprenditore globale”, avrebbe potuto quantomeno creare un dialogo.

Nel frattempo, il monologo di Michele Santoro ha fatto scalpore: ha denunciato l’enorme conflitto di interessi dell’attuale governo americano, dove figura anche Elon Musk. Il “genio dell’informatica” punta alle terre rare dell’Artico per estrarre litio, ma a quanto pare questo scandalo passa inosservato, mentre ai tempi si puntava il dito contro il conflitto di interessi di Berlusconi. Certo, anche lui non era un santo, ma il paragone sembra quasi ironico.

Se guardiamo alla politica di Berlusconi con un po’ di distacco, è evidente che aveva capito l’importanza di modernizzare l’Italia. Parlava delle “Tre I” (Internet, Inglese, Informatica) quando nessuno ne parlava, e sembrava un visionario. In un certo senso, era un precursore di Steve Jobs, Bill Gates ed Elon Musk, almeno in Italia. Eppure, quell’idea di gestire lo Stato come un’azienda è stata anche la sua croce: ha portato precarietà con i contratti a progetto e la legge Biagi, continuando un processo iniziato già con Tiziano Treu ai tempi di Maastricht.

Pino Rauti diceva che Berlusconi, “un grande”, si era circondato di “piccoli uomini”. Forse è vero. Ma resta innegabile che fosse un politico capace di muoversi su scenari internazionali, durante un periodo di crescita economica mondiale, pur con le prime avvisaglie di crisi.

GLOBALIZZAZIONE E POST-GLOBALIZZAZIONE
I problemi di oggi, economici e geopolitici, affondano le radici in una globalizzazione che non ha mai davvero unito imprenditori e lavoratori. Berlusconi, con la sua esperienza diretta nei cantieri e come uomo “pratico”, aveva forse un’idea più concreta di cosa servisse per far crescere un Paese. Ma il processo di globalizzazione ha finito per premiare prima la finanza e, ora, i media e le élite intellettuali. Filosofi, economisti, opinionisti, influencer… tutti parlano, ma pochi lavorano davvero per creare qualcosa di tangibile.

Forse anche per questo la Russia ha reagito in modo spropositato in Ucraina. Putin vede nell’Occidente non solo un avversario geopolitico, ma anche una minaccia culturale ed economica. L’Occidente, sempre più snob e distante dalla realtà concreta, sembra distante anni luce da un Paese dove la gente ancora lavora, fatica e vive a contatto con la natura.

E poi c’è la Cina, altro gigante industriale che non vuole cedere al giogo della globalizzazione. Entrambe, Russia e Cina, hanno detto “no” a un sistema che spinge verso la deindustrializzazione e la precarietà. Un sistema che, a volte, sembra più interessato ai social media e agli slogan che alla realtà economica.

DALLA GLOBALIZZAZIONE ALLA POST-GLOBALIZZAZIONE
Ora siamo entrati in quella che qualcuno chiama “post-globalizzazione”. Se la globalizzazione premiava la finanza cosmopolita, oggi vediamo crescere il parassitismo: opinionisti, social media manager, guru di ogni tipo. Tutti parlano, pochi producono.

Anche in Italia, con il governo Meloni, siamo in un’epoca di “italianità” di facciata. Si esaltano le tradizioni, ma i dati economici raccontano una realtà ben diversa: il Paese arretra industrialmente. Nel frattempo, Papa Francesco ci invita a fare figli invece di adottare cani e gatti, mentre Elly Schlein si prepara a discutere di tutto, tranne che di politiche industriali.

CONCLUSIONI
Senza figure come Berlusconi, capaci di attrarre sia l’Occidente che l’Oriente, e con una Russia sempre più isolata, il dialogo sembra impossibile. Il risultato? Un mondo frammentato, dove le grandi potenze si contendono risorse e spazi, mentre l’Italia, come spesso accade, resta al margine.

Edoardo Buso