Il 19 gennaio 2024 ricorrerà l’anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, statista socialista italiano, deceduto ad Hammamet nel 2000, mentre affrontava un complesso processo giudiziario. Non è qui il luogo per discutere se la sua decisione di rifugiarsi in Tunisia fosse giustificata o se avesse colpe giudiziarie. Piuttosto, occorre riflettere sulle sue posizioni politiche e sul contesto storico di Tangentopoli, un periodo ancora oggetto di studio da parte degli storici, le cui analisi non hanno portato a una verità definitiva.

La politica attuale sembra essersi ridotta a un conflitto ideologico sterile, come dimostra l’accenno della premier a George Soros contrapposto a Elon Musk. Da un lato, un centrosinistra europeista e globalista che esalta Soros; dall’altro, una destra che vede in Musk un modello di innovazione. Occorre subito precisare che Soros non è solo un finanziere controverso, ma un sostenitore della società aperta, ispirata agli insegnamenti di Karl Popper, e per questo merita rispetto.

Tornando al 1992, è inevitabile collegare le parole di Giorgia Meloni sulla pericolosità di Soros con le speculazioni che portarono alla svalutazione della lira e alla crisi economica italiana sotto il governo di Giuliano Amato. Le conseguenze si manifestarono con la svalutazione della moneta e la forza crescente del marco tedesco, preludio ai Trattati di Maastricht, che imposero rigide politiche economiche. Fu proprio Craxi a definire Maastricht un “inferno” per l’Italia, poiché le sue regole avrebbero limitato drasticamente la spesa sociale.

Questa frattura rimane ancora oggi. Entrambi i principali partiti italiani, Fratelli d’Italia e Partito Democratico, sono allineati su una linea rigorista in materia di spesa pubblica. Mentre il dibattito pubblico si concentra su questioni secondarie come il codice della strada o la sicurezza dei satelliti di Musk, si trascura il problema cruciale: il dominio del comparto finanziario, che continua a determinare manovre di bilancio lacrime e sangue, con ulteriori tagli alla sanità. Il Paese soffre di stagnazione dei salari, disoccupazione e scarsa produttività industriale, in un contesto internazionale sempre più complesso.

Certo, ci sono segnali positivi, come l’abbassamento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, che facilita l’accesso ai mutui. Tuttavia, i segnali negativi prevalgono: il 2025 si profila come l’anno di nuovi tagli imposti dall’Eurozona e di un’ulteriore crisi energetica, aggravata dall’aumento del costo del gas per ragioni geopolitiche.

In questo scenario, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ricevuto elogi da Bruxelles per una manovra rispettosa dei vincoli europei. D’altra parte, l’opposizione, guidata da Elly Schlein, fatica a distanziarsi dalle politiche di austerità, complice il passato rigorista del Partito Democratico. Tale impostazione trova le sue radici nei governi di centrosinistra degli anni ‘90 e nelle figure di Prodi, Padoa Schioppa, Ciampi, Amato e D’Alema, che, pur salvando l’Italia dalla bocciatura europea, allontanarono il centrosinistra dalle sue origini socialiste, favorendo un’ideologia di rigore economico e avversità verso lo stato assistenziale.

Chi scrive ha spesso sostenuto posizioni liberali e rigoriste, ma la situazione attuale richiede una rivalutazione. Serve un ritorno a politiche keynesiane che valorizzino il ruolo dello Stato, come sottolineato da Mario Draghi, il quale ha parlato di “debito buono” e della necessità di una società che sappia “dare”. Draghi, pur essendo un tecnocrate, ha spostato il dibattito sulle sfide del futuro: robotizzazione, automazione, innovazione e sostenibilità. Sfide che escludono chi non possiede competenze adeguate, come sottolinea il Green New Deal. Draghi ha inoltre affermato che nessuno deve essere lasciato indietro, offrendo una lezione importante sia ai potentati economici che ai fautori di una società tradizionalista e chiusa.

È il momento di ripensare la narrazione rigorista e costruire una nuova unità a sinistra, unendo socialisti e liberali. Elly Schlein ha l’opportunità di rappresentare una rottura con il passato, seguendo l’esempio di Craxi e di chi, come Matteo Renzi, ha cercato di implementare politiche keynesiane. L’agenda Draghi potrebbe essere una base su cui costruire, correggendone gli aspetti sociali e promuovendo un’Europa solidale. L’obiettivo è ridurre le disuguaglianze tra i Paesi membri e creare un debito comune europeo, avanzando verso una Nazione Europea.

In questo percorso, non ci devono essere ambiguità o tentennamenti come quelli spesso mostrati dal Movimento Cinque Stelle, che ostacola riforme cruciali su giustizia, diritti umani, liberalizzazioni e immigrazione. Quest’ultima, se ben gestita, rappresenta una risorsa per il Paese.

Il centrosinistra italiano deve trarre insegnamento dal passato e ritrovare unità sui temi fondamentali: Europa, futuro, stato sociale e diritti umani. Solo così potrà contrastare il predominio di poteri finanziari e promuovere una politica più equa e lungimirante.

Edoardo Buso